la vecchia signora al pronto soccorso

Ci capita spesso di evitare di intraprendere una conversazione con le persone anziane, spesso tendono a convogliare il discorso verso argomenti come morte, malattie, sfortune varie e altre cose deprimenti. Forse il fatto di sentire che il loro tempo su questa terra sta per esaurirsi li fa diventare piuttosto eloquenti su questo argomento, forse proprio per esorcizzare la paura della fine. Qualche giorno fa mi trovavo in una corsia di ospedale, sotto l'effetto di potenti antidolorifici. Rimbambito e pressoché immobilizzato su un lettino del pronto soccorso. Non mi sarei mosso nemmeno se mi avessero pagato per farlo: stavo soffrendo come un cane a causa di un calcolo renale. Nel lettino a fianco al mio, portarono una vecchia signora che per un po' rimase a dormire, poi mi rivolse la parola. Dapprima feci finta di non ascoltarla, ma poi decisi che fosse buona educazione darle retta. Purtroppo la conversazione, come da programma, si rivelò a senso unico. In sostanza parlava solo lei, ma il suo modo di raccontare era lucido e fluente, mi raccontò una storia triste e i protagonisti erano lei e suo marito che, guarda caso, aveva esalato l'ultimo respiro proprio in quello stesso ospedale. Il marito era un uomo tutto d'un pezzo e a quando pare la signora doveva essergli molto legata. Mi raccontò di come fosse una persona piena di inventiva e un grande amante della natura e che solo qualche settimana prima di morire, all'età di oltre ottant'anni, facesse escursioni in montagna. In particolare capii quanto la signora sentisse la mancanza del marito. Ad un certo punto cominciò a parlarmi della triste degenza del marito presso quell'ospedale e dei giorni passati ad accudirlo. L'uomo era sempre stato forte e austero e nemmeno la malattia riuscì a scalfire la sua dura scorza. L'anziana mi raccontò che dopo lunghi giorni e notti al suo capezzale, poco prima di morire, il marito le chiese: "chi te l'ha fatto fare?"
Lei mi guardò e al ricordo della sua risposta, dai suoi occhi uscì una piccola lacrima. Non nego di essermi commosso. In mezzo a tutta quella sofferenza, nel pronto soccorso di un ospedale della periferia di Milano qualcuno mi aveva dato la conferma che anche dopo sessant'anni di convivenza ci si può ancora dire: "perché ti amo". 

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