Le nuvole che ne sanno?



Sono ormai anni che lavoro su questo racconto. Lo tengo lì e ogni tanto gli aggiungo un pezzo. È la storia di una ragazzina, Paola, che vive in Italia in un periodo storico particolare e molto difficile. Nella sua stesura ho deciso di dare a questo racconto una struttura un po' particolare come per voler descrivere quei momenti con gli occhi della protagonista, che si aprono di tanto in tanto solo sui momenti belli, descrivendoli minuziosamente, per poi richiudersi quasi a voler cancellare gli episodi più brutti della vicenda vissuta da lei e dalla sua famiglia.
Nel racconto mi voglio ispirare alle meravigliose tecniche descrittive dei maestri giapponesi, in particolar modo a quella di Hayao Miyazaki, che con la poesia del suo tratto e della sua narrazione riesce a farci vivere momenti spensierati anche se le storie sono ambientate nei frangenti più duri e difficili, quelli che purtroppo scaturiscono dall'umana follia, come la guerra. Il desiderio ostinato di riuscire a provare che c'è ancora qualcosa di bello, di buono. La forza di aggrapparsi alla speranza.

La prima parte, qui di seguito è scritta in prima persona, ed è in sostanza il riassunto di ciò che accadde in quel giugno del 1943.

[Immagine tratta dal lungometraggio "Spirited Away" dello Studio Ghibli©]

Buona lettura.
I.S.



1.
Sarò passato davanti a quella casa migliaia di volte. Qualche volta, di sera, guardavo attraverso le sbarre del cancello e vedevo quella sola finestra illuminata. L'unica tra tante. A volte, affacciata a quella finestra, intravedevo la sagoma di quella vecchia signora.

"Milano, giugno 1943. Quello fu un anno molto difficile per noi. Nel 1938 il governo italiano promulgò le leggi razziali, che impedivano ai 'non ariani' di fare tante cose, come possedere proprietà in territorio italiano, prestare il servizio militare ed altre cose che mandarono letteralmente in bestia mio padre. Mio papà, Erminio Bachi, prima di queste leggi era un importante esponente dell'imprenditoria milanese. Possedeva alcuni edifici nel centro della città, tra i quali la nostra casa in viale Luigi Majno.
Io sono Paolina Bachi e sono nata in quella grande casa. Andavo a scuola come tutti i bimbi milanesi, mi intrattenevo con le mie compagne e giocavo nei giardini insieme ai miei coetanei. Tutto ciò però un giorno finì. Mio padre resistette parecchio tempo a tutte le ingiustizie e privazioni alle quali venne sottoposto lui e tutta la sua famiglia. Ma poi cedette quando ci obbligarono ad abbandonare la nostra casa. Io ero piccola, non capivo, per questo motivo mi arrabbiai molto quando mio papà decise di lasciare la città. Non avrei più visto i miei amici, avrei perso la scuola. Ma la decisione fu repentina e irrevocabile, saremmo partiti per il Lago Maggiore una sera di sabato.

Fino all'ultimo momento pensavo che mio padre potesse cambiare idea. Anche quando fui a bordo della nostra Lancia Augusta, stipata di pacchi e bagagli, speravo in un dietrofront. Quel periodo era pieno di incertezze, non c'era nulla di sicuro, ma quando l'auto uscì per l'ultima volta dal cancello del nostro palazzo ebbi la certezza che quel luogo non l'avrei più rivisto per molto tempo. Papà cercò in tutti i modi di mantenere lo stesso stile di vita di un tempo, ma le ristrettezze economiche di quell'infausto periodo glielo rendevano praticamente impossibile. Il fatto di possedere ancora un'auto però era ancora un'ottima cosa, che ci permise una certa libertà di movimento. E con quello che stava accadendo in Italia e in Europa in quel momento storico, per noi fu una grande fortuna. Mia mamma era di origine francese, la sua famiglia si era trasferita in Italia dopo la grande guerra e lei era cresciuta in un ambiente raffinato e aristocratico. Non era di religione ebraica come mio papà e quando decise di sposarlo, venne praticamente disconosciuta dai suoi genitori, anche se all'epoca del loro fidanzamento, mio padre era un ottimo partito, giovane e bello, ricco e pieno di iniziativa. Erano proprio una bella coppia. Lei era bellissima, dalla silhouette slanciata, dal portamento e dai gesti eleganti, bionda, con un viso meraviglioso e un carattere dolcissimo. Quando sfogliavo le riviste di moda dell'epoca mi immaginavo sempre che fosse lei ad indossare quei bellissimi abiti raffigurati in foto e illustrazioni. Quella sera salì in auto con il suo solito portamento, ma indossava un abito semplice e poco elegante. Mio papà aveva deciso di farci vestire tutti con abiti poco vistosi, forse per dare meno nell'occhio, anche se io stessa lo trovai uno stratagemma piuttosto inutile: se ci avessero fermati ad un posto di blocco, non avrebbero certo guardato i nostri abiti, bensì i nostri documenti. La strada che percorremmo era poco frequentata e, percorso cittadino a parte, si trattava praticamente solo di strade di campagna. Una strada sterrata e piena di buche che mi fecero saltare sul sedile per tutte le oltre quattro ore di viaggio. Guardando dal finestrino pareva avessero steso un grande telo oscuro sulla nostra auto. La notte era buia e nera, le stelle pareva fossero andate a nascondersi. I fari dell'auto proiettavano una luce fioca che sembrava sfondare a fatica quel muro di densa oscurità. Quella oscurità pian piano stava prendendo posto anche all'interno dei nostri cuori".




2.
Seduta su quel blocco di cemento che un giorno doveva essere stato il pilastro di un molo, Paolina respirava l'aria fresca mattutina del Lago. I suoi sandaletti e i calzini di fianco a lei. I piedi nell'acqua fredda e trasparente. Qualche piccolo pesce curioso si avvicinava, poi guizzava via rapidamente ad ogni movimento dei bianchi piedini. Il fondale verde scuro, il cielo azzurro. Il sole sorto da qualche ora già balenava da dietro le montagne con i suoi roventi raggi estivi. Che bello sarebbe stato se tutto si fosse fermato lì, in quell'istante silenzioso, in quel momento di calma e tepore così dolce e familiare. Lontano dalla follia e dallo sferragliare, dal calpestio frenetico e incessante che rimbalzava tra i muri delle vie e delle strade delle città. Lì non c'era preoccupazione, pensò Paolina, non c'era fretta di scappare, c'era solo il Lago e le nuvole. Quelle nuvole che arrivavano lontano nel grande mare celeste, lontano, sopra e oltre le montagne e assistevano alle storie di tante altre vite come la sua. Lassù era tutto bianco come la panna montata.

Nuvola, da lassù puoi vedere i campi coltivati delle pianure,
le rocce e le aquile con i loro nidi sulle vette più alte.
Ma cosa puoi sapere di quello che c'è ne cuore di chi cammina laggiù?
Cosa ne sai?

Paolina si rese conto che a qualche decina di metri da lei sua mamma la osservava con attenzione ogni suo movimento, ogni suo capello mosso dalla dolce brezza. Era seduta su una sedia di vimini e indossava la sua vestaglia azzurra. Dal basso, a quella distanza, Paolina fantasticò immaginando di spiare una favolosa diva del cinema da un punto nascosto, come un ammiratore innamorato. Ma quando gli occhi di Paolina incontrarono quelli di sua madre fu come se questi le parlassero, comunicandole tutta in una volta l'ansia che provava per quel futuro incerto. Paolina distolse lo sguardo come si fa da una luce forte abbagliante, abbassò il capo e vide ancora il riflesso delle nubi sul lago. L'abbandono della casa a Milano, la fuga di notte. La strada buia e l'evidente costante stato di paura dei suoi cari. Cominciava a capire che i momenti di gioia e spensieratezza si sarebbero ripetuti sempre con minor frequenza. Per questo motivo cercò di far tesoro di quegli istanti in riva al Lago, con i piedi nell'acqua, i pesci, le nuvole e la mamma. Immaginò di poter catturare quella scena in una grande foto, con un'immensa macchina fotografica capace però di catturare anche le emozioni, ma solo quelle belle, e di bloccarle nel tempo per sempre.
Come per voler cambiare prospettiva, la ragazzina si puntellò sulle mani e si sollevò da terra rimettendosi in piedi. Il vento caldo le si insinuò dolcemente sotto il leggero vestito e lo gonfiò come una piccola mongolfiera. Per un secondo Paolina ebbe la piacevole sensazione di diventare leggera e di essere sollevata da terra. Sarebbe stato bello poter essere portata via come una piuma, ma la gravità ebbe la meglio.


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