L'orizzonte tutto intorno - 1° capitolo



Gli parve di sentire un rumore. Uno scricchiolìo di rami rotti. Prima di allontanarsi dalla moto per andare a fare pipì l'uomo aveva controllato che nei dintorni non ci fosse nessuno. Ad alcune decine di metri da lui c'era un'azienda agricola con un cartello che riportava il logo I.G.P. della produzione di un tipico formaggio locale. Ma ad occhio non si vedeva anima viva, né umana, né bovina, né ovina. Probabilmente il rumore che Ido aveva sentito era causato dal movimento strisciante o sgambettante di qualche forma di vita a sangue freddo. Quando ebbe finito di lasciare il proprio odore in un cespuglio come un cagnaccio randagio, tirò su la cerniera dei suoi vecchi e rattoppati Levi's 511 Black Label neri. Nero era il colore che preferiva da sempre per quanto riguardava l'abbigliamento. Ma da motociclista sapeva che certi capi era meglio fossero colorati in modo che attirassero meno il calore dei raggi solari. Infatti la vecchia giacca Spidi estiva che indossava era composta sì da parti nere ma anche di ampie zone grigie, il casco Nolan era grigio metallizzato.
Nonostante fosse quasi mezzogiorno di un giorno di fine luglio, da quelle parti non faceva troppo caldo.
"Per forza" , pensò Ido, "saremo a millecinquecento metri di altezza, sono due ore che faccio tornanti in salita".
L'aria di montagna era limpida e pulita, il cielo di un azzurro quasi elettrico. Aveva parcheggiato la sua Honda sull'angolo di un incrocio tra la strada provinciale 66 e una strada sterrata di campagna e per un attimo rimase in piedi a godersi il panorama. Aveva raggiunto la parte più elevata di un grande altopiano e tutto intorno lo sguardo poteva arrivare molto lontano. A sud, la perfetta visibilità permetteva di intravedere le maestose svettanti rocce del Gran Sasso, tutt'intorno si stagliavano i dolci profili dei Monti Sibillini, ricoperti da una rigogliosa vegetazione. L'altopiano era ricoperto da pascoli sconfinati e se ne intuivano le dimensioni da alcuni puntini scuri che li punteggiavano in lontananza, puntini che con una buona vista, e magari l'ausilio di un binocolo, si sarebbero rivelati dei gregge di pecore o mandrie di mucche al pascolo.
Ido, riprese a camminare in direzione della moto, intenzionato a riprendere il viaggio. La bella Honda, nonostante la passione per il colore nero del suo proprietario, era bianca e grigia. Di sicuro un colore che le si addiceva, come il soprannome che le era stato dato dal suo proprietario: "Yukai", parola giapponese il cui significato è "fantasma, spirito". Ido l'aveva acquistata l'anno prima. "Una moto adatta alla città, ma anche ai piccoli viaggi", recitava il dépliant della casa madre. Andando contro a ciò che i progettisti giapponesi avevano stabilito, Ido si era messo in testa di trasformare quella piccola 750 cc bicilindrica in un mezzo da viaggio. Difatti era la prima moto sulla quale sentiva di poter percorrere centinaia di chilometri al giorno senza fare troppa fatica. Sembrava che l'avessero progettata apposta per lui, per la sua costituzione fisica, per i suoi acciacchi da quarantasettenne e per il desiderio di fuga che ogni tanto lo attanagliava.
Rimase ancora un attimo a respirare l'aria pulita ed ad ascoltare il vento, poi girò la chiave, premette il tasto di avviamento e il silenzio venne rotto dal rombo proveniente dalla corta marmitta con quella strana forma a sezione triangolare che affascinava ma lasciava anche un po' perplessi sul suo effettivo scopo. In effetti l'impatto visivo era formidabile, l'idea che dava era quella di un oggetto quasi d'arte, rifinito a mano, fin troppo bello da vedersi e per questo si poteva pensare che chi l'avesse disegnato lo avesse fatto solo per soddisfare il proprio ego creativo. Il fatto è che quando poi si accendeva il motore ci si accorgeva che il rumore prodotto da quello strano tubo triangolare era tutto tranne che qualcosa di casuale.
Da dietro un cespuglio due piccoli uccelli presero il volo, impauriti dal rombo. Ido con un colpo di reni spinse in avanti la moto che posò a terra entrambe le ruote scendendo dal cavalletto centrale. I due pneumatici Bridgestone abbandonarono lo sterrato e ripresero a scorrere sul liscio asfalto della SP66.
"Quando vado verso sud, ho sempre l'impressione di andare in discesa"
A Ido venne in mente la frase di Barbalbero ne "Il Signore degli anelli". In effetti, stava percorrendo la Provinciale che andava verso sud-ovest e che l'avrebbe portato a incontrare la strada provinciale 209 per avvicinarsi sempre più alla sua meta: Spoleto.

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